Per le amiche consiglio un
libro di Claude Delay “COCO CHANEL”- genio-passione-solitudine. «La bellezza sta
nelle cose semplici.» Coco Chanel . “La mia amicizia con Chanel
è durata dieci anni, gli ultimi della sua vita. La sua intimità mi parve
allora così rivelatrice che pubblicai di getto Chanel solitaire, i
miei ricordi. Oggi torno a lei dopo un distacco di dieci anni. I numerosi
libri e documenti pubblicati tracciano altri cammini, diversi dal
mio. Nato alla fine della sua vita, il mio unico proposito è stato di
ritrovare la sua storia, quella di una Chanel intima, il cui vissuto mi
aveva fatto penetrare il segreto di un creatore al femminile e di
un’inalterabile infanzia. Una Chanel gloriosa, ma anche ferita,
fragile. Questo libro è la storia di una donna “.Claude Delay. «Ho
conosciuto Coco Chanel in Rue Cambon, sul finire della sua vita. Per caso, quel
caso di cui lei aveva fatto la propria superstizione. Entrò nel
suo negozio, dove stavo scegliendo un foulard stringendo dei libri sotto il
braccio. "Lei è fortunata ad avere il tempo di leggere", mi disse.
"Io, invece, vivo come una prigioniera. Venga a fare colazione con me un
giorno". Era così intensa, così accattivante sotto la sua paglietta
dispotica, al fondo della scala aggrappata agli specchi, che indistintamente
sentii su di lei gli effluvi del suo profumo e quelli, più proibiti, di
una inalterabile adolescenza.» C.D. Vi ricordo che Chanel
salutò per l’ultima volta la sua amica Claude Delay una domenica pomeriggio,
sul marciapiede davanti all’Hotel Ritz, dove abitava a Parigi. Morì poche
ore dopo, sola, nella sua stanza. Era il 10 gennaio 1971. E’ uscita in Italia , una nuova edizione rivista dall'Autrice, che
ha così potuto correggere delle inesattezze apparse nella edizione originale e
in quelle finora tradotte. Pubblicata la prima volta nel 1971, con lo
pseudonimo di Claude Baillén, la biografia più intima e personale di Chanel è
stata ampliata e ripubblicata dieci anni dopo. È la biografia scritta da Claude Delay, l’amica
più intima di Coco Chanel negli ultimi dieci anni di vita della grande
stilista. Scrittrice e psicanalista, ne ha condiviso confessioni,
ricordi, speranze, che in questo libro rievoca con una scrittura
sapiente e attenta alle sfumature, alla ricerca della verità più profonda e
nascosta dell’animo umano. Dalle sue pagine emerge il ritratto di una donna
ambiziosa, inquieta, instancabile sul lavoro, preda di paure profonde e di
passioni incontrollabili, ma soprattutto vittima di delusioni brucianti e di
una solitudine che nessun amore né amicizia né trionfo riuscirono a cancellare.
Il ritratto di Chanel scritto dalla Delay inizia così, «dalla fine», da
un’intimità nata dieci anni prima nella boutique Chanel di rue Cambon, tra la
grande signora della moda e una giovane cliente: una affinità divenuta nel
tempo un’amicizia vera, quotidiana, senza segreti, cui Chanel si affidò con
crescente fiducia raccontando di sé, delle ferite dell’infanzia, dei suoi
abiti, dei successi e delle sconfitte.
E, naturalmente, degli uomini della sua vita: il padre Albert, il grande e
tragico amore Boy Capel, gli amanti famosi – il duca di Westminster, il
granduca Dimitri Romanov, Pierre Reverdy, Paul Iribe –, gli amici celebri, come
Djagilev, Picasso, Misia Sert, Cocteau, Colette... Il racconto di Claude
Delay rappresenta, dunque, un caso a sé nella lunga serie di libri
dedicati a Chanel perché riproduce con fedeltà la «voce» stessa della
creatrice di moda, le sue emozioni, i suoi pensieri, i suoi sentimenti,
senza intenti celebrativi, ma con l’obiettivo di far conoscere una donna che fu
eccezionale, ma anche infinitamente naturale. E’ anche una biografia per immagini:
sono infatti una settantina le fotografie che costellano e accompagnano il
racconto della vita della creatrice di moda più amata di tutti i tempi. L’autrice. Claude Delay è nata a Neuilly-sur-Seine nel 1934. È
autrice di romanzi, opere teatrali e delle biografie della poetessa Marina
Cvetaeva (nel 1998, Prix Anna de Noailles de l’Académie française) e dei
fratelli Alberto e Diego Giacometti (nel 2008, Prix de l’Essay de l’Académie
française e Prix Cazes-Brasserie Lipp). Dal libro. Chanel andava in
Rue Cambon. Il giorno prima della sua morte era al lavoro. «Con cosa copri le
spalle? Con niente. Toglietemi dagli occhi questo vestito». Manon le porta un
completo: «L’ho assunta come apprendista vent’anni fa. Tutto questo rosa… Chi
ti ha detto di scegliere la fodera? Non si fodera un vestito prima che cada
come si deve!». Delle camicette che le vengono proposte sceglie quella in
percalle perché non fa passare l’aria. E si lava senza problemi. «Non si può
indossare una camicetta due volte, non esiste». Coco reclama il jersey: «L’ho
inventato io, non me lo farò portare via sotto il naso… È un materiale che non
si rovina. Non sopporto le scenate con le cameriere. Sono le principesse della
nostra epoca. Se tornando a casa si può riporre il vestito sulla sua gruccia…
Non deve rovinarsi: un’uniforme sporca è terribile. Un vestito non è un pezzo
di stoffa, è un oggetto». Un oggetto. Si tratta proprio di un oggetto d’amore.
È tornatosotto la lana, che non la soddisfa. «Sotto si deve vedere il corpo,
altrimenti è persa nel suo tailleur. Dov’è la donna?». Sistemando la paglietta:
«Non dovete calcarlo, il cappello serve solo a riparare gli occhi. E niente
capelli. Raccoglieteli, che non si vedano: la testa dev’essere piccola. Appena
si tirano i capelli, un viso diventa nobile». Gli abiti da sera la annoiano. «Non
lavoriamo per un convento. Datemi del pizzo nero». Coco modella le gambe in un
pantalone di pizzo sotto la mussola trasparente: «Non mi spingo oltre, quanto a
indecenza…».Madame Raymonde le toglie il nastro con le forbici che porta
intorno al collo. «Non mi piace la campagna», dice alle sue premières. «Mi
piace mettermi per strada…». Ripartire… Come suo padre. Sarebbe morta
l’indomani, di domenica, il giorno che odiava. Ero arrivata al Ritz all’una e
la trovai alla coiffeuse intenta a truccarsi, con indosso i pantaloni del
pigiama di seta bianca, la camicia color ribes, una reticella e un nastro fra i
capelli. «Sai», mi dice, «oggi mi sarei disturbata ad andare in Rue Cambon,
anche solo per due persone». E poi con aria assorta: «Non rinuncerò a fare
quell’abito con il sellino come quelli che portava
mia madre… Jeanne!», chiamando
Céline, che era nella stanza da bagno. Si toglie il pigiama, infila le calze e
mi dice che devono sempre avere il colore della pelle. Si guarda le gambe e
torna alla coiffeuse per mettersi della crema e del talco, mostrandomi che
prendono il sole nel punto in cui spuntano dalle pantofole di spugna bianca.
Nella sua mansarda di lusso, Coco rifugge persino il sole che passa attraverso
un vetro «Se tutte queste pulizie bisognasse farle per qualcun altro, allora
neanche a pensarci. Le facciamo per noi». Si piazza davanti agli specchi e in
quel momento mi sembra di percepire un richiamo del suo corpo, qualcosa di
profondo, selvaggio, una sfida che riguardava ancora il desiderio. Quel
qualcosa avrebbe esalato il suo ultimo respiro quella sera. Infila le lunghe mutande di seta bianca («Capisci, se ti si
solleva un po’ la gonna»), e rifiuta il tailleur che le porge Céline («No,
quell’altro». «Lo tenevo da parte per la collezione, Mademoiselle»). Coco
prende il successivo, ce n’erano solo tre nell’armadio. «Era meglio questa
camicetta beige, ma alla fin fine…».Si siede davanti alla coiffeuse e indossa
il cappello («Così non seppellisce nulla, capisci»), poi si accorge che ha
dimenticato di farsi le sopracciglia, allora toglie il cappello e si mette al
lavoro davanti allo specchio da trucco. Vivace e incantevole, si alza dopo
avere calato la paglietta sui capelli, infila le sue catene sotto la cintura,
una in tasca, e si applica del pancake sulle mani e poi della cipria. «Chiama
la carrozza», dice rivolta a Céline intendendo l’ascensore. Prende un bicchiere
d’acqua zuccherata e un Nopirin. «Domani userò il servizio d’oro. Non è
pretenzioso, la mia casa lo è così poco… Il solo inconveniente sono i coltelli
che rigano. Userò questi piatti solo per il formaggio, che non ha bisogno di
essere tagliato con chissà quale forza. Mi piace il colore dell’oro». Mangiamo al suo solito tavolo, quello
in disparte, indipendente, lontano dagli odori. Il signor Ritz saluta. Coco
ordina del prosciutto non salato per cominciare, una piccola entrecôte con
patate bollite, del melone per dessert e il solito riesling ben ghiacciato. «Il
lato romantico delle cose l’ho trovato nei libri. Perché scovarlo nella vita,
sai…». Un caffè. Il ristorante si svuota. «Vanno tutti a Longchamp», mi
assicura. Ci attardiamo, siamo le ultime. «Devi vivere la passione. Io me ne
accorgo subito. Sarai un po’ nervosa, ma soddisfatta. Anche se dura solo
quindici giorni. Perché a quel punto ti fermerò io. Me ne sono sempre andata…». Si infila il cappotto di pelliccia e i
guanti beige lavabili, di quelli che arrivano al polso. La Cadillac risale gli
Champs Élysées invasi da una folla triste e ci porta al luogo della «sua»
passeggiata: il giro del campo da corsa nella bruma trafitta da un sole
tardivo, accecante. «Detesto il tramonto, questa luce. Avrei dovuto portare gli
occhiali scuri». Ridiscendiamo passando per il Trocadero. Coco si ricorda il
musée de l’Homme, la fragilità dei nostri lineamenti, e batte i denti. «Sono
bravissima a fare le castagnette. Batto i denti per la paura, sai…». In Place
de la Concorde, tra le statue di pietra delle province, la vedo fare un saluto:
«Saluto la luna». Era piena. «Toh, ho dimenticato di scommettere sui cavalli»,
mi dice pensosa. La lasciai sulla
soglia del Ritz. «Domani mi troverai in Rue Cambon. Domani lavoro». Furono le
sue ultime parole. La vidi sparire, nel suo piccolo cappotto di tweed foderato
di kalgan, autentico e quotidiano quanto lei: spinse la porta girevole in
vetro, identica a quella di tutti gli alberghi del mondo. Sarebbe morta quella
domenica. L’ultimo avvertimento la
sorprese sdraiata, mentre ordinava il menù della sera. Colta da malore, volle
farsi la puntura, ma le sue mani tremanti non riuscivano a spezzare la fiala.
Fu Céline a farlo. In seguito mi avrebbe raccontato che mai aveva visto
Mademoiselle farsi l’iniezione con tanta violenza. Coco soffriva. «Vedi», disse
a Céline, «è così che si muore». La sua lucidità l’aveva assistita. Sola .Libro Edizioni
Lindau. Titolo originale Chanel solitaire Traduzione dal
francese di Federica Giardini. Foto copyright.
Gli anniversari
di Chanel. Lo scorso anno il 40° anniversario della scomparsa di Coco
Chanel il prossimo 19 agosto, il 130° anniversario della nascita e
Chanel verrà celebrata in tutto il mondo dopo i festeggiamenti dello scorso
anno per il 90° anniversario del profumo Chanel N°5. A
Parigi è stata presentata la Collezione
di Alta Gioielleria "1932", in occasione del 80°
anniversario dei Bijoux de Diamants, la collezione
presentata da Gabrielle Coco Chanel nel novembre 1932
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